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mercoledì 9 maggio 2012

La IEA puntualizza la situazione della mobilità elettrica in 16 città di tutto il mondo, Italiane escluse

Sedici le città “osservate”, di 9 Paesi e 3 continenti diversi
Veicoli elettrici: piani, strategie e sovvenzioni applicate in tutto il mondo
L’International Energy Agency ha appena pubblicato un testo che analizza i programmi municipali attivati da vari centri urbani per promuovere e sostenere la mobilità elettrica. Non ci sono purtroppo città italiane, dove non si mette evidentemente in pratica quanto annunciato o non lo si fa altrettanto bene come invece si fa in altri "mondi amministrativi".

 I veicoli elettrici hanno iniziato a circolare un po’ su tutte le strade del mondo ed è curioso vedere in che modo le varie realtà locali promuovono questo genere di mobilità alternativa e sostenibile. La definizione e la messa in atto delle varie strategie municipali, infatti, può risultare cruciale nel successo o meno della mobilità elettrica in un determinato centro urbano, a maggior ragione se l’obiettivo da raggiungere è piuttosto ambizioso: 20 milioni di veicoli elettrici in circolazione entro il 2020. Ma quali sono i piani più efficaci e dove sono stati sperimentati e poi adottati? A rivelarlo è il testo appena pubblicato dalla International Energy Agency (IEA) EV City Casebook che fornisce una panoramica mondiale sullo stato dell’arte e sulle prospettive dei veicoli elettrici, comparando i vari programmi attivi in tutto il mondo.


Il book della IEA analizza 16 città di 9 Paesi e 3 continenti diversi: da Shanghai a Berlino e da Portland al Nord Est dell’Inghilterra, vengono forniti tutti i dettagli su come ogni comune o regione d’avanguardia abbia sviluppato e gestisca il proprio programma. Le 16 aree urbane osservate dall’Agenzia presentano, tra l’altro, caratteristiche molto diverse tra loro. Tra le città esaminate, infatti, sono presenti centri densamente popolati, come New York o Amburgo, centri di piccole dimensioni, come le Goto Islands di Nagasaki, e centri dalla vasta estensione, come Los Angeles o i 5 sobborghi olandesi di BrabandStad; ogni realtà offre varie tipologie di servizi, dai mezzi pubblici e i taxi elettrici per il trasporto di massa al noleggio di auto individuali, dall’acquisto di veicoli elettrici per la flotta municipale alle sovvenzioni stabilite da alcune amministrazioni per incentivarne l’acquisto o l’uso. Da quest’analisi, la IEA si augura che a parte il contesto cittadino, luogo ideale per vari tipi di sperimentazioni, la mobilità elettrica possa diffondersi anche in altri contesti extra-urbani.
Nella autorevolissima pubblicazione, non ci sono purtroppo città italiane, dove non si mette evidentemente in pratica quanto annunciato di anno in anno o non lo si fa altrettanto bene come invece si fa in altri "mondi amministrativi".









lunedì 16 aprile 2012

L'anno prossimo esce il prototipo di batteria per fare 800 km con una ricarica.

FUEL RANGE PARITY FRA BATTERIE E SERBATOI DI IDROCARBURI LIQUIDI E GASSOSI ENTRO IL 2020 ED ENTRO 15 ANNI RIVOLUZIONE ENERGETICA SOLARE CON NANOTECNOLOGIE

Arriverà presto, entro il 2013, la prima batteria capace di alimentare un'auto per 800 chilometri: "Abbiamo cominciato questi studi due anni e mezzo fa - ha raccontato Alessandro Curioni, ricercatore italiano che lavora al progetto per l'Ibm - quando i problemi sembravano irrisolvibili. Oggi possiamo dire di aver risolto i problemi fondamentali, tanto da aver quasi pronto un primo prototipo, che rilasceremo il prossimo anno". Si tratta del progetto Battery500 che sembra aver trovato la soluzione per rendere competitive le batterie litio-aria risolvendo finalmente il problema dell’instabilità chimica che fino ad ora le aveva rese inutilizzabili. Sembrano proprio avere le caratteristiche ideali per essere utilizzate nel settore delle auto elettriche, caratteristiche tanto interessanti da essere messe allo stesso livello di densità di energia dei carburanti liquidi utilizzati per il motore termico. IBM si è alleata (ne dà conferma in un comunicato stampa del 20 Aprile 2012) con i giganti della chimica internazionale, come Asahi Kasei e Central Glass, per sviluppare insieme una batteria a Litio-Aria.

Come funzionano?





Le auto elettriche del 2020 potrebbero quindi essere giunte ad un punto di svolta grazie ad IBM e le batterie litio-aria con autonomia di 800 chilometri con tecnologia batteria litio-aria.
Le attuali batterie agli ioni di litio offrono infatti un’autonomia limitata al massimo a 480 chilometri a 110 km/h,  non sufficiente per coprire le distanze che sono invece garantite sulle tradizionali soluzioni a benzina/gasolio.
L’autonomia utile che si potrebbe raggiungere con una batteria di questo tipo montata su un’automobile sarebbe di 800 chilometri,  grazie ad una densità energetica che teoricamente è almeno 1000 volte superiore (invece di 250 kg per 25 kWh per fare 150 km, ne basterebbero meno di 200 kg per fare 800 km con 250 kWh di batteria).
Per bloccare la reazione che l’ossigeno innescava con l’elettrodo di carbonio e con il solvente elettrolitico, che serve a trasportare gli ioni di litio tra i due elettrodi, Alessandro Curioni del laboratorio di ricerca IBM di Zurigo con il collega Winfried Wilcke, ha utilizzato un supercomputer Blue Gene per realizzare modelli estremamente dettagliati delle reazioni e sono giunti ad isolare un nuovo solvente elettrolitico che farebbe al caso loro.
Un prototipo di batteria potrebbe essere pronto nel 2013, mentre il debutto commerciale potrebbe avvenire entro il 2020.

Un commento? Tutto come previsto!
Con tappe di sviluppi quinquennali la tecnologia della trazione e dell'accumulo elettrici arriverà a parità di prestazioni e costi con la trazione basata sui motori a combustione interna, relegati ai rendimenti scarsi delle leggi della termodinamica.

Qual è il contesto?
Un secolo fa (1912), c'erano più automobili alimentate da energia elettrica che a benzina: le prime facevano meno rumore, era più facili da utilizzare e non puzzavano. Le altre andavano più o meno alla stessa distanza,puzzavano erano difficili da guidare bene.
Ma la necessità di avere intervalli più lunghi di viaggio fra un rifornimento e l'altro, la disponibilità di una fonte di combustibile più conveniente e un'affidabile infrastruttura di alimentazione trasforma presto i motori a combustione interna come il principale mezzo di trasporto a motore.
Ora gli automobilisti stanno prendendo in considerazione un allontanamento dalla benzina e un ritorno all'energia elettrica come fonte ideale per muoversi autonomamente, ma grandi sfide restano. IBM e i suoi partner stanno lavorando per risolvere uno dei principali ostacoli alla diffusa adozione di veicoli elettrici: autonomia limitata della batteria.

Un antidoto all'ansia da autonomia
La maggior parte delle persone considerano il passaggio a veicoli elettrici per risparmiare su benzina e gasolio e contribuire a creare un ambiente più sano. Ma l'ansia da autonomia, ovvero la paura di essere lasciati a piedi, è stata citata dal 64 per cento dei consumatori come elemento detrattore principale per l'acquisto di un veicolo elettrico.
Le auto elettriche oggi in genere possono viaggiare con autonomie inferiori rispetto ai veicoli endotermici, applicando l'attuale tecnologia della batteria agli ioni di litio (LIB). La tecnologia LIB ha poche possibilità di essere abbastanza leggero per viaggiare per 800 km con una singola carica e per essere abbastanza economica per essere pratica per una vettura tipica da famiglia, ammesso che questo modello di mobilità rimarrà quello preferito per in futuro. Questo problema sta creando un notevole ostacolo per l'adozione dei veicoli elettrici.
Riconoscendo questo, IBM ha avviato il progetto Battery 500 nel 2009 per sviluppare un nuovo tipo di tecnologia delle batterie litio-aria volta a migliorare la densità di energia di dieci volte, aumentando notevolmente la quantità di energia che queste batterie possono immagazzinare ed erogare. Oggi, i ricercatori IBM hanno dimostrato con successo il funzionamento della chimica di base dei processi di carica e scarica per le batterie al litio-aria.

L'idea è quella di sviluppare una batteria per le auto elettriche in grado di fornire energia sufficiente per percorrere a 800 km prima di avere bisogno di una ricarica. La tecnologia consiste nell'avere l'anodo di litio che si combina con l'ossigeno dell'atmosfera grazie al catodo 'aria': quando questo accade, viene rilasciata energia elettrica. La batteria quando viene ricaricata rilascerà l'ossigeno di nuovo in atmosfera, liberando l'anodo per ricominciare il ciclo. Il vantaggio principale della nuova batteria è quello di contenere fino a dieci volte l'energia delle batterie al litio esistenti oggi. La giapponese Asahi Kasei avrà il compito di produrre le membrane di separazione avendo già esperienza nel settore in quanto già le produce per le batterie litio-ioni di oggi. La Central Glass, pure essa giapponese, si interesserà a realizzare gli elettroliti per batterie litio-ioni e sta costituendo "una nuova classe di elettroliti e di additivi ad alte prestazioni" per le batterie al litio-aria. L'operazione dovrà portare alla commercializzazione di prodotti sempre più raffinati nel periodo dal 2020 al 2030.

Alcuni video esplicativi di cosa è e come funziona la batteria.





Un'altra rivoluzione per l'energia solare rinnovabile arriverà tra 15 anni, con i pannelli di terza generazione, ma gia' nel futuro prossimo vedremo i primi cambiamenti sostanziali. Lo ha affermato Larry Kazmerski, direttore del National Renewable Energy Laboratory di Golden, in Colorado, aprendo a Trieste il 2012 Industrial Physics Forum. "La vera rivoluzione - ha spiegato - è attesa in 10-15 anni quando le nanotecnologie e materiali 'bio inspired' modificheranno radicalmente la produzione di energia dal sole abbassando i costi, massimizzando la produzione e rendendo le celle adattabili a un maggior numero di supporti".
Entro 3-5 anni, ha aggiunto Kazmerski durante il convegno organizzato dal Centro internazionale di fisica teorica (Ictp) di Trieste, le celle fotovoltaiche attuali saranno sostituite da moduli fatti con polimeri, piu' sottili e flessibili. La previsione è che nel 2020 l'Europa trarrà oltre 85 gigawatt di energia dal sole, mentre gli Usa si assesteranno a 138 GW.

Quindi sempre più il connubio mobilità elettrica e fonte rinnovabile è volto a sbloccare il sistema energetico basato oggi sul consumo di risorse limitate e sulla generazione di sostanze nocive, verso l'assenza di emissioni basato un riutilizzo di materie prime con processi alimentati da fonti di energia rinnovabile.

sabato 31 marzo 2012

L'energia elettrica diventa FUEL per veicoli sostenibili e non nocivi: ne tenga conto la regolazione fiscale.

La corsa dell’auto elettrica fermata dalla burocrazia anche fiscale?
Uno dei principali ostacoli alla penetrazione di tecnologie innovative nel tessuto economico è spesso rappresentato dalla rigidità normativa pensata in altri contesti storici e applicativi. A volte anche le piccole, banali e semplici migliorie che la vita quotidiana potrebbe conoscere trovano ostacoli nella legge.

Una normativa pervasiva, che cerca di usare i propri canoni razionali per abbracciare una realtà complessa, tende a fotografare il presente o il passato senza però l’ambizione di aprirsi al futuro.
Ne è un esempio il caso dei centri di ricarica delle auto elettriche.

Per consentire il pagamento della ricarica di un veicolo elettrico mediante l’utilizzo di strumenti semplificati (schede magnetiche o elettroniche prepagate), così come accade per le ricariche del cellulare,serve una modifica legislativa.
Una proposta in tal senso è stata avanzata nell’ambito della conversione del decreto legge semplificazioni tributarie (dl 16/12), che deve essere approvata entro il primo maggio prossimo.

L’auto elettrica è ancora un oggetto strano nel nostro ordinamento. Essendo essa considerata quasi come un “crocevia” tra il settore dei trasporti e quello elettrico, il legislatore non ha ancora adeguato la normativa per tener conto delle potenzialità di sviluppo dei veicoli elettrici. Il motivo di questo ritardo potrebbe essere ricercato nel persistere della convinzione che dopotutto la tecnologia non è in grado di competere con i classici sistemi di trazione che utilizzano carburanti tradizionali.

Eppure sono molti i fattori che inducono a pensare che lo scenario potrebbe essere sul punto di cambiare. Tra questi i progressi tecnologici conosciuti dal comparto, l’aumento dei prezzi dei carburanti(dovuto in parte alle dinamiche dei prezzi del petrolio e in misura significativa anche ai continui aumenti delle accise) e il fatto che dopotutto la capacità di generazione elettrica in Italia, pur non essendo tra i parchi di produzione più efficienti, supera comunque il fabbisogno e cerca quindi nuovi sbocchi.

Un ostacolo alla diffusione dell’auto elettrica è dato dalla necessità di realizzare grossi investimenti iniziali per costruire una rete di centri di ricarica magliata sul territorio nazionale. L’automobilista non compra o non utilizza un'auto elettrica se non ci sono distributori, o ce ne sono troppo pochi, nella sua città.

Perché la tecnologia prenda piede serve un salto, serve colmare il gap infrastrutturale che la divide dalle tecnologie tradizionali. Ma perché qualcuno sia disposto a intraprendere questa scommessa occorre quanto meno che la normativa fiscale in materia di energia elettrica, accise e imposte sia chiara e tenga conto delle nuove modalità di impiego dell’energia elettrica che diventa un fuel. Per questo servono misure (che peraltro sarebbero a costo zero sia per lo Stato che per i contribuenti) che semplifichino la disciplina e chiarendo il regime fiscale applicabile, semplifichino il quadro per prendere le decisioni di investimento e quindi consentano la realizzazione di investimenti.

Investimenti che pur vengono auspicati a tutti i livelli di governo perché la diffusione dell’auto elettrica ridurrebbe drasticamente le soglie di inquinamento nelle città, e in generale nei centri abitati, a tutto beneficio della salute dei residenti e della bolletta energetica nazionale.


Fonte.

mercoledì 15 febbraio 2012

Le nostre contraddizioni... di cui ci nutriamo, di cui siamo pericolosamente fatti.

Alcune considerazioni illuminanti su alimentazione, salute, sostenibilità.


Il 14 Settembre del 2011 l’Organizzazione Mondiale della sanità ha annunciato che le malattie cronico-degenerative – le malattie dell’abbondanza – hanno superato le malattie infettive – le malattie della povertà – come problema sanitario mondiale: su 58 milioni di morti annui, 36 milioni sono dovuti a malattie non trasmissibili, soprattutto cardiovascolari (48%), tumorali (21%), polmonari croniche (12%), diabete, e il maggior numero di morti lo si conta nei paesi poveri. Le cause sono il tabacco, l’obesità, la vita sedentaria, l’ipertensione, l’iperglicemia e... la globalizzazione della dieta occidentale. Lo stesso messaggio ammonisce che i costi per gestire queste patologie stanno diventando insostenibili e che i sistemi sanitari nazionali sono al collasso. Lo si sapeva anche prima, ma è un bene che l’OMS ce lo ripeta perché la sensibilità di chi può assumere decisioni non sembra attenta, o comunque non si è valutato come logica deduzione che per salvare i sistemi sanitari - e l’economia dei paesi - occorre ridurre l’incidenza e la prevalenza delle malattie croniche, perché chi è malato da un lato costa e dall’altro non produce!

Nutrire il Pianeta anche per prevenire le malattie, dunque, ma con cosa?
A fine Gennaio 2012 il ministero dell’agricoltura statunitense (USDA) ha emesso una direttiva per la ristorazione scolastica che impegna tutto il paese ad eliminare i cereali industrialmente raffinati dalla ristorazione scolastica (35 milioni di utenti): entro due anni tutti i prodotti a base di cereali dovranno avere come primo ingrediente un cereale integrale. L’amministrazione americana ha recepito il messaggio degli studi epidemiologici prospettici che hanno concordemente confermato l’ipotesi che il consumo di fibre di cereali, non come integratori ma come cibi, è associato a minore rischio di obesità e a minore mortalità per malattie cardiovascolari, diabete, cancro, malattie dell’apparato respiratorio, dell’apparato digerente, e anche malattie infettive, queste ultime verosimilmente perché il buon funzionamento del sistema immunitario dipende dalla salute dell’intestino.

Nel 2010 e 2011 sono stati portati a termine due grandi studi prospettici su centinaia di migliaia di persone sul rapporto cibo e obesità. I cibi più associati ad aumento di peso sono le patatine, le patate, le carni conservate, le carni fresche, le bevande zuccherate, i dolciumi, i cereali raffinati, i succhi di frutta, mentre i cereali integrali e i semi oleaginosi sono risultati protettivi. L’aggiornamento continuo della revisione sistematica degli studi epidemiologici su alimentazione e cancro promossa dal Fondo Mondiale per la Ricerca sul cancro (WCRF) conferma che i tumori dell’intestino, che sono oggi i tumori più frequenti nella nostra popolazione, riconoscono come fattori causali le carni conservate (che il WCRF raccomanda di non mangiare proprio), le carni rosse (che il WCRF raccomanda di moderare), e la carenza di alimenti ricchi di fibre (cereali integrali, legumi e verdure, che il WCRF raccomanda di mangiare quotidianamente).

Gli zuccheri ridondanti
Recentissimamente, il 2 Febbraio 2012 la rivista Nature pubblica un commento sugli effetti tossici dello zucchero aggiunto, definito come qualunque dolcificante che contiene la molecola di fruttosio,  sostanzialmente il saccarosio (lo “zucchero”) e lo sciroppo di glucosio e fruttosio, che sta sostituendo lo zucchero nelle bevande e nei prodotti di pasticceria. L’articolo ricorda che nella storia dell’umanità i nostri antenati mangiavano zucchero solo sotto forma di frutta, che un tempo era disponibile solo nei pochi mesi dell’anno in cui giungeva a maturazione, e di miele, che però era ben protetto dalle api. La natura aveva reso questi zuccheri piuttosto difficili da ottenere, ma l’industria alimentare li ha resi onnipresenti: negli Stati Uniti si mangiano più di 600 chilocalorie di zucchero a testa al giorno, da noi quasi 400 (pari a 100 g), e queste quantità sono uno dei fattori della sindrome metabolica (gli altri sono troppe proteine, troppi grassi saturi e trans, troppo sale e troppo alcol, oltre alla vita sedentaria). Buona parte di questa enorme quantità di zucchero proviene dalle bevande zuccherate, che il WCRF raccomanda di evitare del tutto per la prevenzione dei tumori.


Sindrome metabolica
La cosiddetta sindrome metabolica, che riguarda oggi quasi un terzo della popolazione adulta, è una condizione definita dalla presenza di 3 o più dei seguenti fattori: pressione alta, glicemia alta, trigliceridi alti, colesterolo HDL basso, obesità addominale (definita da una circonferenza vita superiore ad 85 cm nelle donne e 100 cm negli uomini). Si tratta del principale problema di salute pubblica del mondo occidentale. Chi ha la sindrome metabolica si ammala di più di diabete, di infarto, di ictus, di steatosi e di cirrosi epatica, di cancro, di Alzheimer. Ci sono sempre più indicazioni che la sindrome metabolica e i suoi determinanti influenzino negativamente anche la prognosi dei malati di cancro (in particolare di chi ha avuto un cancro della mammella o dell’intestino). La prevalenza di queste patologie è in continuo aumento anche a causa dell’invecchiamento progressivo della popolazione, reso possibile dalla scomparsa della fame e delle malattie infettive come causa principale di morte, e dai successi della medicina per tener in vita gli anziani affetti da malattie croniche. Ne consegue un quadro di crescente domanda di prestazioni sanitarie che, accoppiato alla crescente offerta di tecnologie diagnostiche e terapeutiche sempre più avanzate e costose, prefigura un quadro di progressiva insostenibilità economica.

Le malattie sono come la “spazzatura”: non basta preoccuparci di come farla sparire, occorre produrne meno. E sappiamo che è possibile, e ci auguriamo chele scelte alimentari che ci permetteranno di prevenire le malattie croniche che caratterizzano il mondo occidentale contribuiscano anche a salvare il Pianeta.

Oltre che noi stessi.
Parole sagge.




Signori, il petrolio è finito, facciamocene una ragione. La notizia è vera e seria e viene pubblicata da Nature nonché ripresa in italiano da Le Scienze che vi cito testualmente:

A partire dal 2005, la produzione convenzionale di petrolio greggio non è cresciuta di pari passo con la crescita della domanda. Noi sosteniamo che il mercato del petrolio è passato a un nuovo e diverso stato, in una di quelle che in fisica si chiamano transizioni di fase: oggi la produzione è «anelastica», incapace cioè di seguire la crescita della domanda, e questo spinge i prezzi a oscillare in modo selvaggio. Le risorse degli altri combustibili fossili non sembrano in grado di colmare il buco.
Chiosa, giustamente Debora Billi su Petrolio:

Visto che si è finora dimostrato che gli "esperti" di cui si servono i governanti non leggono né i nostri umili blog, e neanche i più autorevoli documenti prodotti da fior di ricercatori ed Università, non rimane che sperare che diano una scorsa almeno a Nature o a Le Scienze. Altrimenti non si capisce proprio come possano continuare ad essere considerati "esperti" (o meglio... tecnici).

La mia di chiosa, invece è questa: proprio un paio di giorni fa ragionavo, dopo la lettura del libro di Danilo Bonato di come sia di fatto evidente, manifesto il collasso delle risorse; in termini planetari non ha granché senso continuare a estrarre ogni sorta di materia prima. Ebbene, la soluzione, probabilmente consisterebbe nell'approcciarsi all'ecologia e allo sviluppo sostenibile tenendo presente che sono le basi dell'economia e non i suoi prodotti. I segnali ci sono tutti, gli scienziati ci avvisano anche, cosa aspettiamo? Inermi l'implosione?







18 giugno 2012 - MOTORI DIESEL E CANCRO.

OMS: "le emissioni dei motori diesel sono cancerogene per l'uomo"
L'Organizzazione Mondiale della Sanità pubblica i i risultati della riunione del Centro internazionale di Ricerca sul Cancro


Le prove scientifiche sono inconfutabili e le conclusioni del gruppo di lavoro sono state all'unanimità: le emissioni dei motori diesel causano il tumore del polmone. Il Centro Internazionale di ricerca sul Cancro al termine di una settimana di lavoro degli esperti dell'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) che si è conclusa a Lione il 12 giugno ha sottolineato inoltre la necessità che l'esposizione a questa miscela di prodotti chimici sia ridotta in tutto il mondo.
Se ne parlava già da tempo, ma sembra che gli esperti abbiano rilevato prove sufficienti per stabilire una stretta correlazione fra i motori alimentati a gasolio e il cancro: "le emissioni allo scarico dei motori diesel sono cancerogene certe per gli esseri umani e l'esposizione a tali gas è associata ad un rischio accresciuto di tumore al polmone ed anche ad un maggior rischio di cancro alla vescica".
Questo è il verdetto del gruppo di lavoro che ha portato i motori alimentati a gasolio alla classificazione - da oggi - nel "gruppo 1", quello appunto delle sostanze cancerogene certe, mentre in precedenza le emissioni dei diesel erano annoverate nel "gruppo 2" delle sostanze probabilmente cancerogene per l'uomo.
Immediato il plauso del CODACONS secondo cui la pronuncia dell'OMS "apre nuovi scenari e - continua - spariscono le parole "probabilmente" e "potenzialmente": ciò rende possibile procedere con maggior successo non solo per il reato di getto pericoloso di cose (674 cod. penale) ma anche per omissione d'atti d'ufficio nei confronti dei sindaci e dei presidenti di regione inadempienti". CODACONS non esclude una class action con persone ammalate di tumore al polmone.
Di tutt'altro tenore i commenti dell'Associazione Europea dei Costruttori di Auto (ACEA), la quale tiene ad evidenziare che le nuove tecnologie dei motori incriminati sono state sviluppate proprio per rispondere a queste preoccupazioni.
Ma è risaputo che le nanopolveri da combustione emesse dai motori diesel ad alta pressione e dai filtri antiparticolato che poi le rilasciano, dopo averle bruciate, a dimensione sempre più piccole (PM10 e PM2,5) causano anche episodi ischemici dopo appena 6 ore di esposizione in aree con forte concentrazione di traffico. Le polveri non possono essere fermate dai filtri "meccanici" delle vie aeree superiori ed inferiori dell'apparato respiratorio, arrivano negli alveoli all'interno dei bronchi e passano nel circolo sanguigno e si depositano in organi e tessuti, causando infiammazioni che il sistema immunitario alla lunga non riesce a fronteggiare. Il risultato è o un ostruzione ischemica con le particelle più grosse (ictus o infarti), o un'interazione con l'organismo che danno origine a neoformazioni maligne. 

E tutto questo per continuare a sprecare l'80 percento dell'energia che paghiamo.


Per approfondire...







sabato 31 dicembre 2011

Sperimentare il risparmio di muoversi con un'auto elettrica: il simulatore di Enel Drive

Un'importante percentuale di emissioni di CO2 e polveri sottili da combustione è causata dal rapido sviluppo del trasporto stradale, ma la mobilità elettrica a emissioni zero sta già diventando una realtà che è parte sostanziale della risposta alle contraddizioni che ci affliggono. Il Pianeta ha bisogno del contributo di tutti noi: aiutiamoci.

Si può percorrere con il simulatore Enel DRIVE la strada che si fa ogni giorno fra una località e l'altra (ad esempio: fra Roma ed Aprilia, oppure fra Como e Milano) o si possono scegliere uno degli itinerari dimostrativi a Roma o Madrid. Si scopre quanto si possa risparmiare e fare bene all'ambiente urbano in cui viviamo con i nostri affetti più cari rispetto a muoversi con veicoli tradizionali a benzina, gasolio o GPL. La simulazione è calcolata rispetto alla media dei consumi e delle emissioni delle principali citycar (fonte dati: Quattroruote).

E' uno dei primi strumenti user friendly per toccare con mano cosa significa rinunciare a muoversi ad emissioni zero: vuol dire avere ancora monumenti e polmoni insultati e imbrattati, sprecare almeno 3 volte tanto denaro in più del necessario e caricarsi di tanto stress in più.



Altre notizie utili ai futuri automobilisti 100% elettrici su:
Cosa è un colonnina di ricarica e come si caratterizza?
In che modo si ricarica un’auto elettrica da una colonnina?
Chi può realizzare una colonnina?
Principali reti e gestori di colonnine elettriche esistenti nel paese
Modalità di pagamento della ricarica da colonnina
Costi della ricarica da colonnina pubblica
Quali sono le condizioni più convenienti per la ricarica pubblica?
...sono disponibili su questa pagina.

Nanomateriali e supercapacitori: buffer dei miracoli in arrivo.

Secchi elettrici a nano materiali: questa è la killer application per la mobilità elettrica entro 5 anni.


Imballare l'energia in un pugno: 1) matrice di nanotubi 2) Isolante 3) Cariche positive 4) Cariche negative. I condensatori sono dei secchi elettrici che immagazzinano le cariche elettriche sulla superficie dei conduttori che sono separati da isolanti. Utilizzando nanotubi per i conduttori aumenta la superficie, così può essere immagazzinata più energia.


Gli ibridi rappresentano meno del 3 per cento delle vendite di veicoli-passeggeri negli Stati Uniti, in gran parte perché costano tanto. Costoso conto batterie per gran parte del premium price, ma Riccardo Signorelli si sta sviluppando ultracondensatori a buon mercato che potrebbero sostituirli. Ibridi basati sulla sua tecnologia potrebbe essere poco costoso abbastanza per iniziare a pagare per se stessi in un risparmio di carburante, dopo 1-2 anni. Gli ultracapacitori (o supercondensatori), sono secchi elettrici che immagazzinano cariche elettriche piuttosto che immagazzinare energia chimica, sono molto più durevoli rispetto alle batterie e funzionano bene quando fa freddo. Ma gli ultracapacitori convenzionali immagazzinano solo una quantità relativamente piccola di energia, quindi sarebbe costoso utilizzarli nelle quantità richieste per alimentare un veicolo. Riccardo Signorelli ha sviluppato nuovi materiali per ultracapacitori con l'uso di strati di nanotubi di carbonio per formare gli elettrodi con una grande superficie, triplicando la quantità di energia che ogni cellula in grado di immagazzinare. Nel 2008 ha fondato una società denominata FastCap per commercializzare la tecnologia (di cui attualmente è Amministratore Delegato), e ormai ha raccolto 7,6 milioni di dollari. L'azienda si è concentrata sulla riduzione del costo elevato dei nanotubi attraverso tecniche di produzione a buon mercato sulla base di quelle utilizzati nel settore delle celle solari. Tutto sommato, un ultracondensatore dovrebbe essere in grado di immagazzinare energia con meno della metà del costo per wattora della tecnologia attuale. Signorelli si aspetta che le vetture ibride con il suo ultracondensatore inizieranno ad apparire entro cinque anni (2016).






Per lo sviluppo delle fonti alternative, essenziali alla crescita sostenibile dell'umanità, il problema sta tutto lì, nell'immagazzinamento dell'energia. Abbiamo bisogno di materiali capaci di una densità energetica sempre maggiore e rapidi nel rilasciarla per il consumo. Solo così saremo in grado di rimpiazzare i combustibili fossili, capaci di contenere, a parità di volume, 35 volte l'energia immagazzinata in una batteria convenzionale e di rilasciarla istantaneamente con la combustione. Senza questo tassello fondamentale, tutte le tecnologie già mature, come l'eolico, il fotovoltaico o l'auto elettrica, rimarranno un fenomeno di nicchia e non riusciranno a far girare il motore del mondo.
Riccardo Signorelli, ricercatore italiano emigrato negli Stati Uniti, lavora da otto anni a questo snodo cruciale, da quando è arrivato al Mit di Boston. «Finalmente ora abbiamo un prodotto pronto per l'utilizzo industriale», annuncia a Nòva durante una visita a Milano, per partecipare al meeting della Camera di commercio su «Imprese oltre la crisi». Il suo prodotto è un oggetto piccolissimo, non più grande di una stilo: un ultracapacitore dotato di una densità di potenza eccezionale, grazie ai nanotubi di carbonio di cui è composto. «Il nostro ultracapacitore è 15-20 volte più potente degli altri comunemente in commercio e 20-40 volte più potente di una batteria tradizionale», spiega Signorelli. «Non riesce a contenere moltissima energia, ma può caricarsi e scaricarsi istantaneamente senza stress, quasi all'infinito, perché funziona in base a un principio fisico, non elettrochimico», precisa. In pratica, affiancato alle batterie già in uso nelle auto elettriche, questo cilindretto potrebbe farsi carico di tutte le variazioni improvvise di potenza, accelerazioni e frenate tipiche del traffico urbano stop-and-go, che stressano enormemente i dispositivi attuali e ne accorciano la vita ben al di sotto della durata media di un veicolo, calcolata in 14 anni. Questo è uno dei problemi fondamentali dell'auto elettrica: dato il costo della batteria, chi si azzarda a comperare un veicolo carissimo senza avere la garanzia che il cuore del sistema non muoia a metà strada?
Il dispositivo di Signorelli risolve questo problema a costi molto competitivi, quindi allunga la vita della batteria e ne riduce il prezzo. Infatti alcuni suoi concorrenti stanno già entrando nell'industria automobilistica: Daimler, Peugeot, ma soprattutto le compagnie cinesi più impegnate su grandi veicoli come gli autobus elettrici, già usano sistemi ibridi di questo tipo. «Per noi è uno sviluppo molto positivo, perché finora la maggiore resistenza del mercato derivava dal timore di complicare troppo i circuiti aggiungendo una componente nuova: è molto difficile far capire che questa componente non è un elemento di complicazione, ma di semplificazione del sistema» commenta Signorelli, con la sicurezza di avere in tasca un prodotto enormemente più avanzato degli altri, che costa la metà. «Per adesso lo stiamo testando per usi industriali, all'automotive non ci siamo ancora arrivati, perché lì le regole sulla sicurezza sono molto più rigorose e i collaudi lunghissimi», rileva Signorelli. «Ma presto ci arriveremo», prevede.

Fonte

Integrazione con una intervista a Signorelli sugli energy storage system a basso costo ed alta capacità con materiali nanostrutturati per veicoli a a trazione elettrica e fonti rinnovabili intermittenti.

venerdì 30 dicembre 2011

Mobilità elettrica e esternalità positive per la salute: una risposta veloce può essere il retrofit 100% elettrico o ibrido seriale

Permane purtroppo ancora alla fine di quest'anno, comunque importante, che ha visto il diffondersi di una consapevolezza sulla necessità di adottare una strategia per i veicoli elettrici anche in Italia, l'incertezza su cosa fare in modo corale a livello nazionale per cambiare di segno le esternalità negative derivanti dalla mobilità.


In Italia sono oltre 48 milioni i veicoli che circolano sulle strade, 15 milioni in più rispetto a 20 anni fa. Di questi, il 75%, circa 36 milioni, è rappresentato da autovetture private: un dato che fa dell’Italia uno dei Paesi con il più alto tasso di motorizzazione al mondo e che si traduce in un forte impatto sull’ambiente e sulla qualità dell’aria.
Il settore dei trasporti dipende infatti quasi totalmente dal consumo di prodotti petroliferi ed è responsabile in Italia di circa 1/4 del totale delle emissioni in atmosfera di sostanze climalteranti.
Nello specifico, i trasporti sono responsabili a livello nazionale del 43% del monossido di carbonio, del 51,7% degli ossidi di azoto, del 23,5% del PM10 e del 54,7% del benzene emessi in atmosfera. La percentuale sale ancora se consideriamo soltanto le aree urbane dove si concentra il maggior numero di veicoli circolanti. Basti pensare che auto, moto e veicoli commerciali sono responsabili del 50% delle polveri sottili di Roma o dell’84% degli ossidi di azoto di Napoli.
Una situazione che si traduce in costi elevatissimi in termini di sanzioni UE comminate al nostro Paese. La multa per i continui sforamenti nelle emissioni di PM10 dovrebbe aggirarsi intorno ai 700 milioni all’anno, superiore, secondo Legambiente, agli investimenti necessari per rendere operativo un piano nazionale di riduzione dell’inquinamento urbano, il cui costo sarebbe di 600 milioni l’anno.
A farne le spese è anche e soprattutto la salute. Secondo i dati diffusi recentemente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sono circa 7 mila le morti premature provocate ogni anno dallo smog nelle sole Regioni del Nord Italia.
In questo scenario l’auto elettrica può dare un grande contributo in termini di sostenibilità della mobilità urbana. Attualmente il 13,3% delle autovetture circolanti in Italia sono Euro 0, quindi prive di qualsiasi dispositivo anti-inquinante, mentre soltanto l’1% dispone di motorizzazioni Euro 5. In questo contesto anche la sola sostituzione con veicoli elettrici del 10% del parco circolante complessivo porterebbe un significativo miglioramento della qualità dell’aria con unariduzione annua di circa 3.600 tonnellate di PM10, 55.000 tonnellate di ossidi di azoto (NOx) e 470 tonnellate di benzene.
Un obiettivo che, grazie alle prestazioni del tutto simili a quelle dei veicoli tradizionali e a un’autonomia che ormai supera i 160 km con una ricarica, sembra del tutto alla portata delle nuove auto elettriche in commercio o in via di commercializzazione: secondo dati CIVES, infatti, il 60% dei guidatori europei precorre meno di 30 km al giorno e più del 90% non supera i 100 km.
Ma il mercato è pronto? Sembrerebbe di sì. Secondo gli ultimi sondaggi di Deloitte e Gfk Eurisko, 7 italiani su 10 si dicono pronti a considerare l’acquisto di un’auto elettrica, a condizione, però, che vengano predisposte in maniera capillare leinfrastrutture di ricarica necessarie. Una conditio sine qua non di fondamentale importanza su cui molto si sta lavorando.


Un'alternativa possibile: il retrofit elettrico ibrido seriale per accelerare la migrazione verso la mobilità elettrica


Incentivi alla “riconversione” elettrica della mobilità a Bologna.


La mobilità di massa permessa dallo sviluppo delle automobili ha portato sicuramente grande giovamento al nostro benessere economico, minando tuttavia la vivibilità delle città e addirittura la nostra salute, rendendo l’aria pressoché irrespirabile.
Ci siamo adattati a vivere in sfere ambientali avvelenate perché implicitamente sappiamo bene che la soluzione sarebbe la riduzione della nostra mobilità, un deciso peggioramento del nostro stile di vita.
La situazione tuttavia insostenibile ha portato al moltiplicarsi delle giornate senz’auto in molte città, alla pedonalizzazione, alle targhe alterne e così via.
Ciò che serve, invece, è una rivoluzione sostenibile. In questo senso, oltre allo sviluppo urbanistico di piste ciclabili e aree pedonalizzate – per migliorare almeno la congestione del traffico – è sempre più necessario un intervento nella direzione di una sostituzione del parco auto attuale con veicoli elettrici non inquinanti.
Tale riconversione non solo farebbe da volano all’economia ma farebbe letteralmente rinascere le nostre città liberando l’aria dallo smog.
Se ancora non si vedono in giro colonnine per la ricarica elettrica (ma in realtà non è questo un reale problema...), molte case automobilistiche si stanno attrezzando per aggredire e dominare un mercato che non può attendere ancora a lungo. L’inevitabilità della riconversione elettrica è frenata probabilmente solamente da una certa inerzia della domanda e di una mancanza di intraprendenza e coraggio dell’offerta che però, se tentenna, è a causa sicuramente della crisi economica (che è anche crisi dei consumi) ma anche, e soprattutto, per l’inadeguatezza della rete elettrica attuale (aspettando la smart grid a fine decennio!) e di una mancanza della rete di rifornimento nonché degli standard comuni (per capirci, per mettere benzina in un serbatoio basta un buco, più complesso con il rifornimento elettrico). Messa tra parentesi la resistenza delle lobby petrolifere, quello che manca veramente è un forte volano pubblico in questa direzione.
Non per niente, se la situazione rimane complicata per le automobili, molto più semplice risulta l’uso e la diffusione di mezzi di trasporto elettrici come le biciclette e i motocicli. Infatti, almeno in questi ambiti sono comparsi qua e là gli incentivi alla mobilità elettrica.
Dal 22 settembre è partita anche a Bologna la campagna di incentivi per la riconversione innanzitutto dei motocicli: bici a pedalata assistita e scooter elettrici si possono quindi acquistare con forti incentivi che vanno dai 300 ai 600 euro.

Retrofit elettrico per le vetture esistenti, mantenendo una fruibilità accettabile anche su lunghe distanze
Ma anche per i veicoli potrebbe essere lanciata questa sfida tecnica: riconversione volontaria incentivata con norme di favore per l'accesso in città (che già ci sono...) per chi trasforma in veicolo ibrido seriale a trazione elettrica e ricaricabile da rete un veicolo a trazione termica, riducendo ad un terzo il serbatoio originario. Per fare questo occorre l'introduzione nell'ordinamento tecnico italiano (in altri paesi europei questa possibilità esiste già) di operare oculate modifiche ad un veicolo senza il consenso del produttore, utilizzando kit omologati.
La riduzione ad un terzo della capacità originaria del serbatoio, consente nello spazio lasciato libero di installare un modulo specifico per quel modello di vettura contenente la batteria agli ioni di litio (meglio se litio polimeri, della capacità di alcuni kWh: circa 10); va sostituito all'interno della scatola del cambio il gruppo frizione con un motore elettrico piatto (da 40 a 60 kW), raffreddato a liquido. All'interno del vano motore verrebbe alloggiato l'inverter e l'elettronica di controllo, incluso il carica batteria (raffreddati a liquido) e un supercapacitore (a materiali nanostrutturati, quanto prima) per recuperare più efficacemente energia durante le decelerazioni e ridurre il carico di lavoro per la batteria di trazione. L'inverter potrebbe in opzione essere strutturato per assolvere le funzioni di caricabatteria aggiungendo più linee di potenza bidirezionali e relative protezioni, oltre che gli altri flussi di energia durante i vari stati di funzionamento del veicolo. All'interno della scatola del cambio verrebbe alloggiato un rinvio meccanico inseribile, gestito dall'elettronica del veicolo, per collegare il motore termico direttamente alle ruote nelle andature autostradali per aiutare il motore elettrico. Il sistema di gestione provvederebbe a ricaricare la batteria di trazione mediante inversione dei flussi di energia durante i rilasci o i tratti in discesa. L'autonomia combinata elettrica e termica di un veicolo del genere potrebbe essere attorno ai 300 km, ricaricabili su strada in qualsiasi distributore di carburante.

Alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici dà l'esempio l'Alleanza Renault-Nissan: leader mondiale nella produzione di veicoli elettrici


Alleanza Renault-Nissan porta i veicoli al COP17 sui cambiamenti climatici
Nissan LEAF in vendita in Sud Africa nel 2013
Per la prima volta una flotta di veicoli di serie 100% elettrici percorrerà le strade del continente africano. In occasione della Conferenza COP17 verranno effettuati i primi test drive pubblici di TWIZY
Per la prima volta in assoluto, una flotta di veicoli di serie a zero emissioni percorrerà le strade dell’Africa.
Una dozzina di auto elettriche dell’Alleanza Renault-Nissan mostrerà i benefici del trasporto eco-sostenibile fornendo servizi navetta a zero emissioni durante l'utilizzo per i delegati alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che avrà luogo a Durban in Sud Africa dal 28 novembre al 9 dicembre. La 17ª Conferenza delle Parti (meglio nota come COP17) mira a "portare le concentrazioni di gas serra a un livello tale da evitare che l’uomo interferisca con il sistema climatico".
I veicoli elettrici, che possono essere ricaricati con fonti di energia rinnovabili come l'energia solare ed eolica, giocheranno un ruolo fondamentale nel raggiungimento degli obiettivi della COP17 e nel ridurre l'impatto dei cambiamenti climatici.
L'Alleanza Renault-Nissan è leader mondiale nella tecnologia dei veicoli elettrici ed è l’unico gruppo automobilistico mondiale ad offrire un’ampia gamma di veicoli elettrici non alimentati a benzina o gasolio. L'Alleanza Renault-Nissan prevede di vendere 1,5 milioni di veicoli a emissioni zero entro il 2016.
Nissan ha già venduto più di 20.000 LEAF su tre continenti, il che la rende l’auto elettrica più diffusa al mondo. Renault sta introducendo sul mercato fra fine 2011 e l’inizio del 2012 la furgonetta commerciale KANGOO Z.E., la berlina familiare FLUENCE Z.E. e il biposto urbano TWIZY, cui seguirà nel secondo semestre 2012 la berlina compatta ZOE.
Al COP17, l'Alleanza offrirà l’opportunità di effettuare i test drive di Renault TWIZY, un veicolo divertente da guidare che si ricarica con una tradizionale presa di corrente. In occasione della Conferenza COP17 verranno effettuati i primi test drive pubblici di TWIZY, un antidoto contro l'inquinamento dell’aria e acustico che affligge alcune delle più grandi città del mondo. I test drive di Twizy avranno luogo presso il Moses Mabhida Stadium durante tutta la conferenza.
Durante il COP17, l’Alleanza permetterà, inoltre, di conoscere da vicino la tanto acclamata Nissan LEAF, nominata Auto dell'Anno 2011, e della berlina elegante Renault FLUENCE Z.E. Entrambe le vetture fungeranno da navette per i delegati della Conferenza e saranno disponibili anche per effettuare test drive.
Durante la Conferenza chiunque potrà iscriversi per effettuare i test drive, presso lo stand dell'Alleanza presso l’Expo Climate Change Response nei pressi del Durban International Convention Center. Il percorso dei test drive partirà dall’Expo per arrivare al leggendario Moses Mabhida Stadium per poi fare ritorno.
Il Sud Africa mira a diventare leader del continente africano nella produzione di energia pulita. Il Paese spera di costruire una delle più grandi centrali di energia solare del mondo, uno sforzo ambizioso che farebbe aumentare l'accesso all'energia elettrica e contemporaneamente ridurre la dipendenza della regione dai combustibili fossili. Specchi giganti e pannelli solari ricoprirebbero la provincia di Northern Cape, che fa parte del 3 per cento delle regioni più soleggiate al mondo.
“L'Alleanza Renault-Nissan plaude ciò che il Sud Africa e tutte le nazioni rappresentate al COP17 stanno facendo per ridurre le minacce al nostro ambiente e alla qualità di vita a causa del riscaldamento globale", ha detto Hideaki Watanabe, vice presidente della Business Unit Zero Emission di Nissan, e direttore generale del Zero Emission Business dell’Alleanza Renault-Nissan.
"L'Alleanza vuole far parte della soluzione per una società sostenibile. I nostri veicoli elettrici - che non consumano benzina o gasolio - offrono una soluzione reale e conveniente per ridurre drasticamente le emissioni di CO2 ".
Nissan ha annunciato che commercializzerà Nissan LEAF in Sud Africa nel 2013, se avranno successo i colloqui tra il governo e l'industria automobilistica sulla creazione di una infrastruttura di ricarica e l'introduzione di incentivi al cliente.

Ohikia: io vado a "Sole" e ci faccio tutto!! Appuntamento a fine 2012.



Arriverà alla fine dell'anno il pannello solare che produce caldo, freddo ed energia elettrica in piena autonomia: brevetto italiano

C'è sempre un modo migliore e meno costoso per fare le cose meglio.

Fonte principale. Per approfondire: applicazioni e funzionamento
L'idea a Francesco Negrisolo è nata proprio con la classica illuminazione improvvisa, quella dell'eureka di Archimede. Ma da quando gli è piovuta nella testa ha continuato a svilupparsi, mese dopo mese e anno dopo anno, fino a coinvolgere altre persone che hanno cominciato a crederci come lui, fino a diventare un progetto e poi un prototipo, a convincerlo a lasciare il proprio lavoro per dedicarsi quasi solo al suo sviluppo fondando una società, fino a trovare il sostegno dei "business angels", gli angeli degli imprenditori che hanno deciso di finanziare la sua impresa e rischiare con lui. E adesso l'idea di Francesco Negrisolo sta per diventare un prodotto pronto per il mercato.
Quello che ha inventato è un nuovo sistema per sfruttare l'energia solare, un pannello capace di concentrare i raggi della nostra stella per arrivare a temperature molto più alte di quelle dei normali pannelli per la produzione di acqua calda. Però senza i complicati sistemi di cui hanno bisogno gli impianti del solare termodinamico tradizionale, quelli con i grandi specchi parabolici che seguono la posizione del sole e riflettono tutti i raggi verso un unico punto dove c'è una cisterna da portare a oltre 300 °C. Il calore assorbito dal pannello potrà poi facilmente essere trasformato in acqua calda per il riscaldamento e per lavarsi, in freddo per gli impianti di condizionamento, in energia elettrica. Meglio ancora, avrà un sistema di immagazzinamento che renderà ogni impianto completamente autonomo. Un palazzo, una villetta, una piccola impresa quando monteranno questo sistema non avranno, in teoria, nemmeno bisogno di allacciarsi alla rete elettrica e potranno davvero fare tutto da sé.
Quando Negrisolo ha cominciato a pensarci aveva da poco lasciato Pirelli Cavi, dove si occupava di progettare fibre e amplificatori ottici, forte di un'esperienza fatta alla Stet sempre dedicandosi a cercare di realizzare il miglior hardware per la trasmissione di segnali. Il suo mestiere era diventata la progettazione di impianti di energia per grandi aziende come Eni ed Enel.
Ed è proprio dall'unione di tutte queste esperienze, racconta, che è nata l'idea del nuovo sistema, capace di trasformare un pannello che assomiglia moltissimo a quelli tradizionali termici in un piccolo impianto di solare termodinamico. Invece di scaldare una miscela di acqua fino a 80-100 °C, infatti, la temperatura del liquido che circola nel pannello può arrivare anche a 250 °C. «La luce viene in un certo senso raddrizzata, grazie a un sistema di specchi, ma non solo, ci sono tanti principi che lavorano insieme. Diciamo che il risultato è un sistema capace di catturare la luce ovunque sia il sole senza bisogno di inseguirlo con sistemi meccanici che spostino il pannello», racconta. E il pannello, proprio come quelli termici tradizionali, è in grado di raccogliere anche l'energia diffusa, quella delle giornate nuvolose, e non solo la luce diretta.
Accanto a lui siedono Maria Cristina Rosso, project manager della società che hanno fondato insieme dopo essersi conosciuti lavorando in Pirelli, e Roberto Campagnola, il loro "business angel". Anche Maria Cristina Rosso, ingegnere come Negrisolo, ha lasciato quello che stava facendo per credere in questa avventura «perché mi piacciono le sfide, la tecnologia e il futuro». È lei che ha scelto di chiamare la loro start up Ohikia, una parola greca che indica la casa, ma anche nel senso della propria famiglia e della propria stirpe: qualcosa che è destinato a durare e ad essere solido, insomma. Campagnola arriva da quel gruppo di scout delle nuove idee imprenditoriali che si sono dati il nome di Italian Angels for Growth: 89 soci che abbracciano quasi tutta l'Italia e che, quando trovano un progetto valido, decidono di aiutarlo a crescere investendo direttamente i propri soldi. In questo caso Campagnola è proprio entrato a far parte della nuova società.
Ma cosa succede al calore raccolto dai nuovi pannelli, che più correttamente vengono chiamati "collettori solari"? Qui c'è la seconda novità. Il calore viene immagazzinato in una "batteria termica" che ha le dimensioni di un grosso frigorifero. Le batterie di questo genere esistono già, non le ha inventate Negrisolo. Lui però ha trovato una miscela molto semplice del liquido con cui funzionano che può lavorare bene tra 100 e 200 °C.
Un particolare del pannello: la luce viene raddrizzata da un sistema capace di catturare la luce ovunque sia il sole senza bisogno di inseguirlo con sistemi meccanici che spostino il pannello. Il pannello è in grado di raccogliere anche l'energia diffusa, quella delle giornate nuvolose, e non solo la luce diretta.

Le batterie termiche, come i pannelli, sono un sistema modulare: a seconda delle esigenze ciascuno può scegliere quante installarne. Per una famiglia, una dovrebbe essere sufficiente: meno di 2 metri cubi di batteria possono accumulare energia termica pari a 75 kWh. «Per l'uso domestico limiteremo anche la temperatura a 160 °C. Ma la cosa più importante è che la nostra batteria si può adattare facilmente a diverse temperature di utilizzo».

Questo, spiega l'ingegnere, è un po' il cuore del sistema Ohikia. Perché è da qui che parte il vero sfruttamento dell'energia assorbita. Il primo uso è ovviamente quello del riscaldamento: non solo quello domestico, ma anche il riscaldamento che può servire a laboratori o piccole industrie come i birrifici o gli impianti di essicazione, per esempio. Oppure il calore può essere trasferito a un "chiller", ossia un apparecchio che trasforma il caldo in freddo, per rifornire impianti di condizionamento oppure frigoriferi grandi e piccoli, come quelli di un supermercato. Infine, il calore può passare a un generatore di corrente elettrica. Ma non un generatore tradizionale, né una turbina «che si romperebbe in fretta e avrebbe comunque un'efficienza bassissima». Ohikia si è rivolta a un partner specializzato nei sistemi di generazione per mettere a punto una versione particolare di un generatore che lavora con gas che si espandono a pressione costante.
Così ha ottenuto un apparecchio capace di funzionare con basse differenze di temperatura, aumentando l'efficienza. In più, quando si produce energia elettrica c'è una parte di calore residuo che può essere ancora sfruttata per riscaldare o raffreddare. E per rendere il sistema davvero completamente autonomo, il generatore di corrente è previsto con una sua batteria di accumulo che consenta di non farlo partire solo perché si accende una lampadina nella casa.
Alla fine sembra un sistema piuttosto complicato e che rischia di diventare costoso. Ma non è così. «Prima ci siamo preoccupati di trovare le migliori soluzioni, senza preoccuparci dei costi. Poi però abbiamo pensato alla realizzazione industriale e alla fine è tutto fatto in maniera molto semplice, con molta meccanica e poca elettronica e materiali di uso comune», spiega Negrisolo. E il costo è attorno ai 13 centesimi di euro per chilowatt, quasi la metà di un impianto fotovoltaico e all'incirca il costo dell'energia di un grande impianto di solare termodinamico. Ma il vero miracolo che il sistema Ohikia promette di realizzare è quello di poter fare tutto, calore, freddo, energia elettrica, e per tante esigenze diverse, dallo chalet di montagna alla piccola industria. Basta aumentare il numero di pannelli, i moduli delle batterie, la dimensione del generatore e chiunque potrà farsi tutta l'energia che gli serve.


IL GREEN CHE PIACE AGLI ANGELI
I business angel di Italian Angels for Growth investono su Ohikia, innovativa tecnologia per il solare termodinamico sviluppata in Italia

Italian Angels for Growth, (IAG, http://www.italianangels.net) il principale gruppo italiano di business angel, annuncia la chiusura di un nuovo investimento da parte di un gruppo di propri soci in una start-up italiana del cleantech.
Si tratta di Ohikia, azienda lombarda di Sesto San Giovanni, che ottiene un primo investimento seed da 340 mila euro, che saranno indirizzati allo sviluppo del prodotto.
L’investimento segue a ruota quello annunciato da IAG la scorsa settimana in On-Sun Systems, altra
azienda startup del cleantech, settore che, grazie ai passi avanti fatti negli ultimi anni nella ricerca e
sviluppo di nuove soluzioni, vede ora il moltiplicarsi di validi e innovativi progetti d’impresa e riesce a
attirare sempre più capitali.

OHIKIA
Ohikia è un nuovo sistema per la generazione di energia da fonti rinnovabili che rientra nella categoria del "solare termodinamico” (detto anche CSP – Concentrating Solar Power), in grado di convertire l'energia solare in energia termica a un livello di temperatura sufficientemente elevato da generare vapore industriale, energia termica o essere convertita in energia elettrica.
Rispetto alle soluzioni similari già presenti sul mercato, l'impianto Ohikia introduce alcune importanti innovazioni a livello di materiali utilizzati e design industriale che rendono il sistema completo, capace di maggiore efficienza energetica e maggiore scalabilità, cioè adatto e conveniente in applicazioni sia domestiche che industriali.
Roberto Campagnola, business angel IAG che ha gestito l’operazione in Ohikia, sintetizza così le ragioni dell’investimento.
"La soluzione Ohikia è estremamente interessante perchè, nel campo del solare termodinamico a media temperatura, si rivolge a un segmento di mercato, quello residenziale e delle piccole e medie imprese, oggi non coperto da alcuna soluzione. Ohikia ha concepito un sistema compatto e stabile, che deriva da un serio lavoro di ricerca e sperimentazione durato quasi 5 anni; inoltre, ha un rapporto costo/prestazioni decisamente superiore rispetto alle soluzioni di fotovoltaico o di solare termodinamico a media temperatura attualmente in commercio. L'obiettivo di mercato è fine 2012".

Cliccare qui per approfondire le applicazioni e il funzionamento.

Alcuni spunti di scenario:
- I Paesi maggiormente impegnati nel solare termodinamico sono USA e Spagna, mentre l’Italia è rimasta frenata nello sviluppo di questo tipo di tecnologia, per cause anche normative, ma recupera il gap grazie a una filiera industriale completa e molto fermento tecnologico
- Nel corso del 2010 la potenza installata in impianti solari termodinamici (anche chiamati CSP – Concentrated Solar Power) si è ulteriormente ampliata sino a raggiungere quota 987 MW, contro i 655 MW della fine del 2009. Una crescita di oltre il 50% favorita da una maggiore efficienza tecnologica
- Lo sviluppo di soluzioni e d’innovazione tecnologica CSP si è sempre focalizzata su impianti di
grandi dimensioni, ma recentemente si è cominciato a parlare di mini CSP per utenza residenziale e PMI. Nel nostro Paese, normative comunitarie e obblighi di legge (vedi da ultimo Decreto 28/11 sugli obblighi d’integrazione delle rinnovabili negli edifici) favoriscono la crescita della domanda.Ohikia realizza un innovativo sistema solare termodinamico distribuito per applicazioni domestiche ed industriali. L'impianto si basa su due elementi principali: un sistema di "accumulo" basato sull'utilizzo di materiali a cambiamento di fase fisica (Phase Change Materials) e collettori solari a concentrazione che sfruttano principi ottici brevettati di multi-rifrazione, e quindi non necessitano di sistema di tracking. Il sistema è in grado di convertire l'energia solare in energia termica a un livello di temperatura sufficientemente elevato da generare vapore industriale, energia termica o essere convertita in energia elettrica.Sede: Sesto San Giovanni, Italia.
Settore: CleanTech.
Data investimento: Luglio 2011.
Tipo di investimento: Seed.
Ammontare investito dai soci IAG: € 240.000.

Fonti MIP – Solar Energy Report, Anest, Assolterm IAG

Italian Angels for Growth, associazione indipendente no-profit nata nel 2007, conta 90 business angel accomunati dallo scopo di supportare e finanziare progetti industriali in fase early stage che presentino un alto contenuto di innovazione e potenziale di crescita. Attraverso gli investimenti dei propri soci, IAG sostiene l’imprenditorialità, l’innovazione e la ricerca nel nostro Paese e in Europa contribuendo a favorire uno sviluppo sostenibile nel lungo termine.

I soci IAG realizzano investimenti da €300.000 a €800.000 destinati a startup innovative italiane ed estere, grazie alla composizione e all’alta esperienza internazionale della maggior parte dei suoi membri.
A oggi, IAG ha esaminato un deal flow di oltre 1200 opportunità d’investimento e circa trenta proposte sono state selezionate dai soci per l’investimento. Gli investimenti già effettuati da soci IAG sono complessivamente quattordici (in undici società, tre delle quali hanno ricevuto un doppio round d’investimento) e ammontano a circa 4 milioni di euro.

http://www.italianangels.net

sabato 26 novembre 2011

Per tutti quelli che insistono ad ignorare l'evidenza...

"L'auto elettrica è comunque un grosso problema!" "La produzione di elettricità inquina, eccome!" "E poi se i 30.000.000 di auto italiane fossero tutte elettriche, non basterebbe tutto il litio oggi estratto per le batterie" e avanti ancora...

Nella vita reale c'è una parte domanda di mobilità individuale che è incomprimibile, perché è velleitario pensare di coprirla pedalando o aspettando un treno o le coincidenze fra i mezzi di trasporto pubblico.
La domanda di mobilità individuale o di una intera famiglia... nasce dove non si può usare il mezzo pubblico collettivo, che deve avere la precedenza nella pianificazione delle risorse pubbliche, o se non si vuole accettare i folli rischi di pedalare a pieni polmoni in mezzo al traffico pieno di fatali polveri sottili e sostanze inquinanti, traffico che è composto dai veicoli con le più disparate masse e dimensioni. Nel traffico, lì sei tu con le tue ossa contro il furgone, il camion, il tram o l'autobus che ti sfiora, contro lo scafandro del bulimico suvvaccio criminale, contro i binari, contro le sconnessioni da incuria o insipienza, contro le sgasate delle stufette semoventi a pistoni.

Ignorare i giusti numeri fa rimanere ciechi schiavi di infondati pregiudizi e velleitarie illusioni che avversano i rimedi plausibili più efficienti

La mobilità elettrica, in realtà, se oculata si può fare: un milione di veicoli elettrici che percorressero ciascuno 15.000 km all'anno consumerebbero, prevalentemente nelle fasce orarie di basso carico, meno dell'1% del fabbisogno annuo di energia elettrica italiano. Questa energia, quella che basta perché non è sprecata per oltre il 75% in calore inutile come avviene con la termodinamica dei "pistoni", anche se li perfezioni all'infinito, potrebbe essere generata da fonte rinnovabile, meglio di prima, grazie alla diffusione delle "spugne elettriche" che sono le batterie dei veicoli connessi in rete (stanno fermi diverse ore al giorno) e che aiutano la rete ad assorbire la produzione discontinua di energia della fonte rinnovabile, senza tenere accese le costose fonti tradizionali pronte ad intervenire in caso di improvvisi buchi di produzione che causerebbero fastidiosi e pericolosi black-out locali.

Il litio c'è: bastano 2,5 kg circa per veicolo di litio che è riciclabile e rigenerabile, una batteria dura 25 anni, 10-15 sul veicolo, il resto in servizio presso impianti di stoccaggio dell'energia... ma già a fine decennio potranno essere utilizzati materiali più comuni e meno costosi, plasmati in nanostrutture, con prestazioni incredibilmente superiori rispetto a quelle di oggi.

Ecco i conti veri, quelli del Dipartimento dell'energia degli Stati Uniti.
Sapete leggere l'inglese? No? Allora saprete guardare le figure.
Potete capire benissimo.

Eddài, Kaizen!!


giovedì 17 novembre 2011

Verso un regolamento tecnico mondiale per i veicoli elettrici


PASSO AVANTI CONVINTO SULL'AUTO ELETTRICA: UE, GIAPPONE E USA UNITI SULL’E-MOBILITY
L’introduzione delle auto elettriche avrà un nuovo slancio grazie a un accordo internazionale siglato oggi a Ginevra e destinato a creare approcci comuni sul fronte della mobilità elettrica



Tre potenze alle prese con una crisi senza precedenti ma unite da un obiettivo comune, accelerare la diffusione della mobilità elettrica. Unione Europea, Stati Uniti e Giappone collaboreranno per rendere meno irta la strada che porta la trazione elettrica alla piena competitività commerciale. Rappresentati delle tre parti si sono incontrati oggi a Ginevra per siglare un accordo di cooperazione sul tema che renda più omogenei norme, approcci e caratteristiche tecniche del settore dell’e-mobility. La neo intesa mira a far convergere gli obblighi normativi, oggi ancora allo stadio iniziale, relativi ai veicoli elettrici a livello mondiale, creando un orientamento condiviso. Si tratta secondo le parti, della percorso più diretto alla realizzazione di economie di scala e dunque alla livellazione dei costi per l’industria automobilistica che attualmente può contare su una produzione ancora contenuta.


 



“Questo – ha commentato il vice presidente della Commissione europea Antonio Tajani, responsabile per l’industria e l’imprenditoria - è un passo fondamentale per lo sviluppo e la diffusione delle auto elettriche. L’accordo di cooperazione in campo normativo aiuterà a incrementare il potenziale di mercato per questo importante tecnologia innovativa e contribuirà alla competitività e maggiore sostenibilità del trasporto stradale”. Secondo quanto previsto dall’intesa di cooperazione saranno istituiti due gruppi di lavoro informali sui veicoli elettrici – aperti a tutti i paesi parti contraenti dell’accordo delle Nazioni Unite - ai sensi di quanto convenuto nel 1998 sui regolamenti tecnici applicabili a livello mondiale. L’iniziativa è stata presa dalla Commissione europea, dalla National Highway Traffic Safety Administration (NHTSA) e dalla Environmental Protection Agency (EPA) degli Stati Uniti e dal Ministero del Giappone del territorio, delle infrastrutture, dei trasporti e del turismo.

Il primo gruppo si occuperà degli aspetti riguardanti di uno degli argomenti più attuali della mobilità elettrica: la sicurezza dei veicoli e dei loro componenti. Il gruppo si occuperà di valutare la sicurezza degli occupanti contro le scosse elettriche, sia durante la ricarica che dopo un incidente o sulla sicurezza della chimica delle batterie anche dopo un'impatto. Il secondo work-group si concentrerà sugli aspetti ambientali delle norme applicate ai veicoli elettrici scambiandosi informazioni relative alle iniziative legislative attuali e future in questo campo e, laddove possibile, definendo prescrizioni comuni sotto forma di un regolamento tecnico mondiale (RTM).


Il Forum mondiale per l'armonizzazione dei regolamenti sui veicoli, noto anche come Gruppo di lavoro 29 (WP.29), opera per conto della Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite (UNECE) che ha sede a Ginevra. Esso fissa un gran numero di norme sui veicoli come prescrizioni per la sicurezza e l'ambiente per le automobili e altri veicoli. L'obiettivo del Forum è quello di promuovere prescrizioni tecniche armonizzate che riducano i costi di sviluppo, impediscano doppioni delle procedure amministrative per l'industria e contribuiscano così all'efficienza e a costi ridotti per i consumatori e la società.

Questa la roadmap per arrivare all'accordo:
14-18 novembre 2011: Forum mondiale per l'armonizzazionedelle regolamentazioni sui veicoli (WP 29) (155a seduta) - un accordo sulla costituzione di due Gruppi di lavoro informali sui veicoli elettrici presentati al AC.3.
Gennaio 2012: Fine del lavoro del gruppo RESS informale, il suo risultato finale da considerati nel gruppo informale sui requisiti di sicurezza dei veicoli elettrici.
Gennaio 2012: Valutazioni di altre parti interessate ad unirsi al gruppo sulla proposta.
13-16 marzo 2012: Adozione ufficiale della decisione di lanciare i due informale WG da WP 29 a Ginevra, presidente e segretari vengono eletti.
Marzo 2012: Primi incontri dei due gruppi di lavoro informali
Primavera 2012: Adozione dei termini di riferimento per ogni gruppo di lavoro informale dal GRPE e
GRSP, rispettivamente.
I rispettivi presidenti gestiranno i vari aspetti del lavoro garantendo che il concordato piano d'azione sia implementato correttamente e che i traguardi e le scadenze siano impostati e raggiunti.
2012-2013: Incontri del gruppo di lavoro, relazioni periodiche al Comitato Amministrativo 7
2014: Possibile adozione del regolamento tecnico mondiale.

Il documento completo.

mercoledì 16 novembre 2011

Come Renault si è organizzata per applicare la trazione elettrica affidabilmente.

RENAULT: 28 MILIONI DI EURO INVESTITI NEL CENTRO PROVE VEICOLI ELETTRICI A LARDY
Nulla si improvvisa, bisogna prova a fondo e quindi investire.

Renault prosegue la politica della mobilità elettrica con il nuovo centro prove dedicato ai veicoli elettrici a Lardy (Francia). Il centro è il risultato di un investimento di 28 milioni di euro e di tre anni di lavoro di messa a punto degli organi elettrici. Fulcro strategico per l'implementazione delle nuove tecnologie "verdi", questo centro prove raggruppa la maggior parte delle strutture di collaudo di motori elettrici e batterie. Avviato nel 2009, il centro è stato progressivamente ampliato fino a occupare l'attuale superficie di 3.300 m2 con un centinaio di banchi prova. Da tre anni il polo conduce un programma di prove, messe a punto e convalide delle performance, dell'affidabilità e della sicurezza degli organi elettrici che equipaggiano i veicoli della gamma Z.E. Tre anni che hanno permesso ai tecnici e agli ingegneri di Lardy di maturare vaste competenze nelle tecnologie di propulsione elettrica:
 - 8 banchi prova per i motori elettrici per mettere a punto i motori e la relativa elettronica di potenza, valutandone le performance (coppia, potenza, efficienza, guidabilità, omologazione, sicurezza). Viene anche testata la resistenza dei motori a vibrazioni e cicli termici estremi, che rappresentano l'equivalente di 20 anni di funzionamento e/o 300.000 km.
 - 6 banchi prova per l'elettronica di potenza (caricatore, inverter, convertitore): collaudano la resistenza a bruschi sbalzi di temperatura associati a sollecitazioni elettriche.
 - 41 banchi in camere climatiche per le batterie agli ioni di litio: simulano l'invecchiamento accelerato delle batterie agli ioni di litio sottoponendole a cicli ripetuti di carica/scarica (normale, accelerata, rapida) totale o parziale, a diverse temperature.
 - 58 altri banchi riservati all'ottimizzazione delle performance delle batterie di avviamento a 12V e allo studio di una seconda vita per le batterie agli ioni di litio.


A questi numeri vanno aggiunti i banchi di prova che la Renault mette a disposizione per i propri partners tra i quali vi sono l'INERIS (Institut National de l'EnviRonnement Industriel et des riSques), il CNPP (Centre National de Prévention et de Protection) e la SNPE (Société Nationale des Poudres et Explosifs).

Tutto ciò che ha a che fare con l'elettronica dei futuri modelli ad emissioni zero, dalle parti più sofisticate a quelle basilari, viene testato nel centro di Lardy, dove una trentina di ingegneri esegue circa 170.000 ore di test. Sono previste ben 15 diverse prove che permettono di simulare condizioni d'uso estreme ai danni delle batterie agli ioni di litio riservate alla trazione dei veicoli. Il centro imita le peggiori ipotesi e fatalità come l'incendio, l'immersione, la caduta della batteria o il cortocircuito ed è a disposizione della Renault e delle aziende partner coinvolte nella costruzione dei veicoli elettrici. La sicurezza è garantita.

Il centro non è unicamente un sito di severi test, infatti, gli ingeneri che vi si dedicano sono stati appositamente formati per approfondire le ricerche sulle tecnologie di propulsione per i motori elettrici. Le prove dei componenti in condizioni estreme, richiede un'ottima conoscenza in diversi ambiti: meccanica, elettrotecnica, chimica (analisi dei gas), elettrochimica, termodinamica, crash test, misure e strumentazione. Questo implica che ogni test effettuato è uno spunto utile a trovare soluzioni e miglioramenti tecnologici per il futuro. "Il centro prove di Lardy accompagna l'offensiva di Renault sui veicoli elettrici, entrata ormai in una fase concreta con la commercializzazione di Kangoo Z.E. Il nostro obiettivo è proporre veicoli affidabili, brillanti e assolutamente sicuri. Lardy ci ha permesso di raggiungerlo con 170.000 ore di test realizzate nel 2011. L'ampliamento del polo ci permetterà di proseguire e accompagnare l'evoluzione delle nuove tecnologie, e di fare di Renault il leader della mobilità elettrica in Europa" ha dichiarato Jacques Prost, Direttore Ingegneria Meccanica di Renault.


Insomma, le novità tecnologiche vanno applicate, ma senza improvvisazioni o rincorse: fare i necessari investimenti nello sviluppo industriale dei componenti ripaga.

Fonte.

Alcune immagini del Centro prove dedicato ai veicoli elettrici a Lardy (Francia)